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  • Immagine del redattoreLaura Gramantieri

Sulle tracce dei Magi persiani. Il Berretto Frigio tra Oriente e Occidente


Basilica S. Apollinare Nuovo - Ravenna - mosaico VI secolo d.C.

Siamo alla vigilia del 6 gennaio, giorno in cui si festeggia l’Epifania, termine che dal greco significa manifestazione (di una divinità). E in tutti i presepi i magi raggiungono, finalmente, la capanna per adorare Gesù, con la simbolica offerta dell'oro, dell'incenso e della mirra.

Viaggiatori per eccellenza, i magi sono presenti nell’immaginario collettivo con una sontuosità e capillarità notevolissime. Misteriosi e regali, di una lontananza e di una estraneità emblematiche, si sono prestati a moltissime interpretazioni.

Ravenna è una città ricchissima di raffigurazioni di magi. Li troviamo in un dettaglio della clamide di Teodora nel famosissimo pannello musivo della parete destra dell’abside di San Vitale, li troviamo nel sarcofago dell’esarca Isacio, sempre conservato in San Vitale, e ancora in un piccolo reliquiario in marmo custodito all’interno del Museo Arcivescovile. Ma i magi più famosi sono senza dubbio quelli ritratti a mosaico lungo la parete sinistra di S. Apollinare Nuovo.

Entrando con un gruppo di giovani visitatori nella Basilica di S. Apollinare Nuovo, l’antica cappella palatina del re ostrogoto Teoderico, lo stupore, generalmente, è tanto.

I bambini sono colpiti dalla spaziosità della chiesa, dai lunghi colonnati in marmo, 12 per ogni lato a ricordo degli Apostoli e, soprattutto, dalla vastità e dalla quantità delle immagini: in S. Apollinare Nuovo, infatti, si conservano i mosaici parietali più estesi a noi pervenuti dalla tardo antichità. Tre registri, uno sopra l’altro, che raffigurano storie del Nuovo e dell’Antico Testamento, le città di Ravenna e Classe, le lunghe e silenziose teorie dei martiri, e infine le teofanie che raffigurano Cristo e la Vergine in trono.

La parete sinistra è, sicuramente, quella più ricca e vivace, sia cromaticamente sia compositivamente, non solo per la presenza, nel registro inferiore, di un lungo corteo di bellissime dame, in realtà martiri cristiane, vestite in abiti preziosi e raffinati, ma specie perché le sante sono precedute da tre personaggi alquanto bizzarri.

Le loro vesti sono coloratissime e portano sulle spalle un mantello svolazzante.

“Sono forse dei giullari?”, chiede qualcuno.

“Cercate di osservare come sono vestiti”, gli spiego.

“Indossano delle leggings!” Esclama stupefatta una studentessa.

Poi qualcuno, finalmente, nota una serie di dettagli più importanti: hanno dei doni in mano, sono tre e seguono una stella…

“Sono i re magi!” esclamano in coro felici e soddisfatti di aver risolto l’enigma.

Ad un’analisi più attenta, qualcuno però osserva: “Ma che strani magi sono? Non indossano la corona ma il berretto del grande Puffo!”.

A ben guardare, in tutte le raffigurazioni ravennati, datate al V e VI secolo d.C., i magi indossano sempre questo particolare copricapo di colore rosso e con la punta arrotondata in avanti, che ai bambini ricorda tanto il berretto del grande Puffo.

Questo berretto ha un nome, si chiama berretto frigio. La Frigia è una regione dell’Asia Minore dove governò a lungo una ricca e fiorente dinastia a cui appartennero molti leggendari re dal nome Mida. Una terra ricca di miniere d’oro ma anche di pascoli e, infatti, i Frigi erano dediti soprattutto all’allevamento del bestiame, conseguentemente produttori e tessitori di lana con la quale confezionavano questi particolari copricapi che avevano una forma a cono con la punta ripiegata in avanti. Probabilmente, questa forma era dovuta al fatto che in Oriente gli uomini erano abituati a portare i capelli lunghi raccolti in cima al capo e la ripiegatura del berretto serviva appunto per raccogliere quella specie di chignon.

Dalla Frigia, l’uso di questo copricapo si diffuse tra i popoli dell’Asia Minore e della vicinissima Persia.

Lo stesso dio Mithra, il cui culto nacque in Persia e trovò poi seguaci nella civiltà ellenica e da qui, tramite i legionari romani, si diffuse in tutto l’Occidente, è sempre raffigurato alla stessa stregua dei nostri magi, cioè pantaloni aderenti fino alla caviglia (le famose leggings), tunica corta, mantello svolazzante e, in testa, il berretto frigio.

Il berretto frigio, quindi, era un copricapo assolutamente abituale e niente affatto stravagante per la moda orientale antica.

Con lo stesso abbigliamento l’arte greco-romana rappresentò gli dei o i personaggi di origine orientale: Bacco, Orfeo, i tre ebrei nella fornace, Daniele nella fossa dei leoni.

E i magi, invece, chi erano?

Una precisazione va subito fatta. Nei Vangeli Canonici, soltanto il Vangelo di Matteo riporta l’episodio dei magi, gli altri non ne fanno cenno. E nel testo di Matteo, si parla semplicemente di magi giunti dall’Oriente, senza precisare il loro numero o il loro nome.

La parola “magio”, d’origine persiana (“mag” è radice che significa dono, il dono della chiaroveggenza), indica una tribù originaria dell’Iran occidentale nel cui ambito venivano scelti i sacerdoti di Zoroastro. Al tempo di Gesù essi costituivano il clero ufficiale del regno parto, posto alle frontiere dell’impero romano, che comprendeva in particolare, la Mesopotamia e la Persia. I magi sono quindi sacerdoti, ma sono anche scienziati, astronomi, matematici. E sono interpreti dei sogni e degli astri perché lo riferiscono Erodoto, Diodoro Siculo, il profeta Daniele.

Nel pensiero dell’evangelista Matteo, sembra certo che essi siano sacerdoti della religione persiana che in quel periodo aveva amplificato il culto di Mithra e questo spiegherebbe il perché, all’inizio dell’era cristiana (come testimonia esattamente l’arte ravennate), i magi siano sempre raffigurati col caratteristico costume “persiano” fatto di pantaloni aderenti, corta tunica, mantello gonfiato dal vento e berretto frigio.

Il costume dei magi evolverà col passare del tempo.

Sarà l’arte bizantina ad operare il cambiamento del costume intorno al X secolo; i magi abbandoneranno gli abiti “persiani” e verranno rappresentati come grandi aristocratici alla corte di Bisanzio.

L’introduzione della corona al posto del berretto frigio si verificherà nell’arte tedesca un po’ prima dell’anno Mille: i magi diventano re per influenza della lettura di certi testi biblici già menzionati dai Padri della Chiesa ma divulgati in quel periodo.

Ormai il ricordo dei magi persiani è completamente sbiadito. I nostri mosaici e i nostri marmi ce lo ricordano, invece, perfettamente. E in questi giorni di vacanze natalizie, un percorso alla ricerca dei magi persiani potrebbe diventare un interessante oggetto di visita nei vari monumenti di Ravenna.

Il berretto frigio ha effettuato un viaggio forse ancora più lungo di quello dei magi perché a un certo punto della sua storia è diventato un simbolo, di libertà e di indipendenza.

Nell’antica Roma era indossato dai “liberti” coloro che si erano affrancati dalla schiavitù anche se dotati di una capacità giuridica limitata rispetto agli uomini nati liberi. Quindi divenne simbolo di libertà riscattata.

Questo berretto fu poi usato durante la Rivoluzione Francese dagli insorti per identificarsi. Non solo era indossato dai rivoluzionari ma era anche rappresentato nelle bandiere, negli stendardi e in tanti altri oggetti. In segno di vittoria veniva issato su un pennone o in cima all’albero della libertà. La bella e intrepida “Marianne” che guida il popolo francese, nella famosa opera di Delacroix, indossa, non a caso, questo copricapo rosso.

Per tutto l’Ottocento e il Novecento questo simbolo celebrerà storie rivoluzionarie e vittorie su governi assoluti.

Quanta strada per un solo berretto. Dai pascoli dell’Asia Minore fino alla Francia di Luigi XVI, attraverso la Persia e Roma.

L’universalità e il cammino sono sicuramente i tratti fondamentali e più noti dei magi ma lo sono anche del berretto frigio.

E se ora lo incontrerete in qualche opera, in una scultura, pittura o mosaico, saprete qual è la sua lunga e affascinante storia.

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